I cinefili appassionati e gli ammiratori di due grandi attori hollywoodiani, quali Marlon Brando e Vivien Leigh, ricorderanno senz’altro un indimenticabile film dal titolo “Un tram che si chiama desiderio”. Una storia d’amore tormentata e drammatica, per un film che nel 1951 ottenne 12 candidature e vinse ben 4 premi Oscar, con un finale quanto mai attuale e poco “politicamente corretto”.
Il film ci è venuto in mente quando, assistendo al monologo teatrale di una superlativa Teresa Mannino, che definire comico è riduttivo, è stata tirata in ballo l’etimologia della parola “desiderio”. Si tratta di un termine che deriva dal latino, ed è composto dal suffisso “de”, che vuol dire “privare”, e dal sostantivo “sidus, sideris”, che vuol dire stella. Quindi, “desiderio” significa, letteralmente “privo di stelle”, a indicare la distanza da qualcosa di bello verso il quale si è attratti.
Nel film, desiderio è il nome della fermata di un tram che rappresenta metaforicamente il percorso della vita che la protagonista conduce dopo un fatto tragico, guidata dalla voglia di riscattarsi. Teresa Mannino ricorda, per analogia, come il desiderio rappresenti uno stimolo per condurre l’esistenza su un binario che ci porta verso qualcosa che sia un’aspirazione, un bisogno, una mancanza, ed è in effetti una parola in cui brilla una stella.
Non vogliamo soffermarci sul desiderio nel suo aspetto materiale e pragmatico, non solo perché non abbiamo competenze in campo economico, ma soprattutto perché desideriamo, appunto, esplorare aspetti che siano più legati alla sfera emotiva e a quella sociologica, inevitabilmente connesse tra loro. Il desiderio quanto influenza le nostre attività umane, sia nei rapporti interpersonali “diretti”, diciamo “uno a uno”, che sia di amore, amicizia, affetto o passione? E quanto influisce, di riflesso, nell’ambito sociale, nelle relazioni lavorative, culturali, ricreative? “L'attesa del piacere è essa stessa il piacere” è una frase che ricorre spesso negli spot pubblicitari e come citazione più o meno colta nei cosiddetti post immessi in rete dagli utenti, in fasi di maggiore o minore intensità, a secondo del “rimbalzo mediatico”. Si tratta di un aforisma spesso attribuito erroneamente a William Shakespeare, mentre è da attribuire a Gotthold Ephraim Lessig, scrittore e drammaturgo tedesco del diciottesimo secolo. In questa frase, il termine piacere è facilmente sovrapponibile alla parola “desiderio”, che come un tram fa viaggiare nelle vicende quotidiane aspettando la prossima fermata con trepidazione, immaginando cosa ci sarà più in avanti nel tempo.
A volte, tuttavia, si può correre il rischio di sostituire l’attesa al desiderio, perdendo così di vista il momento presente, proiettandosi verso un futuro che ancora non esiste e che probabilmente sarà diverso da quello che ci attende. Teresa Mannino, in più, tra una gag e l’altra ha richiamato alla mente quel periodo “innominabile”, di cui portiamo ancora i segni non soltanto nell’animo, in cui sembrava avessimo perso il desiderio di vivere. In sostanza, l’utilizzo del termine “pandemia”, che significa letteralmente “tutto il popolo”, ci aveva privato di un luogo, che fosse ideale o concreato, in cui rifugiarci per sfuggire alla tragicità degli eventi. Se tutto era “infetto” e pericoloso, cosa mai potevamo desiderare? Si è chiesta l’attrice nelle sue riflessioni. E ce lo siamo chiesto anche noi, così come se lo chiede la protagonista del film che abbiamo citato: se nulla è più attrattivo, quale può essere lo scopo dell’esistenza? Senza entrare in altri ambiti drammatici che la cronaca ci riporta ogni giorno con sempre maggiore efferatezza, il desiderio “puro” esiste ancora, o è mascherato da mille altri presunti desideri che vengono proposti o imposti da una società sempre più piena di contraddizioni?
Se il desiderio, come si diceva, fa riferimento a un moto intenso dell’animo che spinge a realizzare o a possedere qualcosa che si considera un bene, qual è il vero bene? Il desiderio, in questo senso, è da distinguere, sia dal punto di vista psicologico che da quello sociologico, dal bisogno di un bene primario. Se è vero che il lato materiale viene appagato dal raggiungimento di un obiettivo concreto, magari economico, è pur vero che un riconoscimento morale genera beneficio all’animo, e ricevere un apprezzamento, spesso, appaga il desiderio di sentirsi apprezzati. Il desiderio, in fin dei conti, è la parte più intima di un essere umano, e nello stesso tempo la più sconosciuta a esso stesso. È una forza che non si placa con la soddisfazione, con il raggiungimento dello scopo, e non si accontenta certamente di oggetti materiali o del conseguimento del successo.
Il desiderio rappresenta in definitiva la propria soggettività, quel tratto che rende ognuno inconfondibile, perché è il motore che spinge a vivere non aspettando la prossima fermata del tram, ma guidandolo. Verso la realizzazione di sé.
Matteo Gentile