Martina Franca e il Santo venuto dall'Est - di Matteo Gentile

Martina Franca e il Santo venuto dall'Est - di Matteo Gentile

    Profumo di mandorle e torrone, il suono di una banda musicale che rallegra le vie della città, i colori dell’illuminazione, gli spari delle bombe la mattina. È la festa patronale estiva che la città di Martina Franca dedica da oltre trecento anni ai suoi Santi Patroni, San Martino da Tours e Santa Comasia, la prima domenica dopo il 4 luglio, data della traslazione delle ossa del santo nella Basilica di Tours (quest’anno 9-10-11 luglio).

     Da quando, nel 1712 secondo un anonimo cronista cappuccino, o nel 1713 come riportato nell’Historia di Isidoro Chirulli, fu portata in processione per la prima volta la reliquia di S. Martino, il mondo è notevolmente cambiato. Ma non sono mutate le sensazioni e le suggestioni che le statue dei santi patroni, realizzate dal noto argentiere napoletano Andrea De Blasio, provocano almeno per un istante in ciascun fedele e, forse per qualche istante, a ogni “spettatore” o visitatore.  La città di Martina è profondamente legata a San Martino, soldato romano prima e Vescovo della Chiesa dei primi secoli della cristianità. Nato nel 316 a Sabaria (odierna Szombathely) città della Pannonia (Ungheria), deve il suo nome Martino, “piccolo Marte” (il dio della guerra), a suo padre, ufficiale dell’esercito romano. Ancora bambino, Martino raggiunge il padre a Pavia, dove  il genitore viene trasferito, e lì viene allevato. Gli viene dato l’insegnamento militare, tanto che già all’età di 15 anni presta giuramento, su volontà del padre, nell’esercito romano.

    È storia nota ed emblematica quella del mantello “tagliato” e donato al viandante dal giocane soldato Martino, gesto di accoglienza e solidarietà che assume quanto mai modernità in una città caratterizzata negli ultimi tempi dall’accoglienza a immigrati e rifugiati politici.  Nel 361 Martino fonda a Ligugé una comunità di asceti, che è considerata il primo monastero databile in Europa. Nel 371 viene eletto vescovo di Tours. Per qualche tempo, tuttavia, risiede nell'altro monastero da lui fondato a quattro chilometri dalla città, e chiamato Marmoutier. Si impegna a fondo per la cristianizzazione delle campagne. Un Santo europeo, per una città che sembra “burbera” ma che poi finisce con l’aprire le braccia, spesso in silenzio e senza grandi clamori, a chi tende la mano per chiedere aiuto e ospitalità. Ma la festa è anche divertimento, nel senso etimologico del termine, di-vertere: allontanare la mente da preoccupazioni e pensieri con attività e occupazioni piacevoli; procurare svago, ricreare E perché no, anche il Luna Park, con un divertimento forse effimero, da qualche anno definitivamente spostato fuori città, in zona Pergolo, che poi tanto fuori, ormai, non lo è più. Sicurezza e divertimento si dovrebbero finalmente coniugare, con buona pace di tutti.

    Festa con uno sguardo alla fiera, magari non più attrattiva come un tempo dal punto di vista commerciale ma pur sempre un momento quasi rituale di shopping e ricerca di curiosità tra bancarelle e negozi aperti fino a tardi. Ricordi e pensieri di una festa che segna un punto di riferimento nell’anno martinese. A San Martino tornavano in ferie gli emigranti e dopo la festa ci “si ritirava in campagna”. In tempi più moderni, il ritorno in città per la festa è comunque prerogativa anche di giovani universitari o dei nuovi emigranti, quelli che cercano lavoro altrove. La nostalgia delle persone più avanti con l’età si confonde con l’attesa più “profana” delle giostre da parte di bambini e ragazzi, ai quali si è rivolto direttamente il Sindaco nell’annunciare l’accordo con i giostrai. L’atmosfera di festa resta intatta. Nella giornata di domenica, la processione serale delle statue argentee di S. Martino e S. Comasia è l’occasione per rinnovare la fede e la devozione verso i Santi Patroni, immutata e rinnovata nel tempo. La festa patronale fu fissata al 4 luglio, giorno della traslazione del corpo di S. Martino nella Basilica di Tours, con una delibera del Capitolo di San Martino del 27 ottobre 1754. Con tale delibera veniva approvata una precedente decisione dell’Università di Martina.

    Il sindaco Leopoldo Colucci e i decurioni, infatti, il 18 settembre 1754 avevano deciso di trasferire la solenne festa dall’11 novembre al periodo estivo. La festa inizia ufficialmente con l’esposizione delle statue argentee dei Santi Patroni, il venerdì, con la ripetizione di un rito antico che si rinnova ancora una volta dopo oltre trecento anni. Realizzati da Andrea De Blasio, argentista napoletano del 1700, i preziosi simulacri furono voluti dai martinesi in ringraziamento al miracolo che aveva scongiurato la peste nel 1691. Rigorosamente nell’ordine, S. Comasia prima e S. Martino poi, vengono prelevate dall’armadio che le custodisce ed esposte sulla “festa” per essere ammirate e per rinnovare la venerazione del popolo martinese verso i Santi che esse raffigurano.

      La festa patronale è anche il giorno dell’onomastico delle donne che portano il nome di Comasia. La devozione per questa Santa risale, storicamente, al 10 settembre 1645, giorno in cui il vescovo di Como, Alfonso Sacrati, firmava la concessione del corpo di una santa martire, fatte riesumare dal Cimitero di Santa Agnese sulla via Nomentana, in Roma, da Marzio Ginetti, vicario del papa Innocenzo X.  Francesca Roccia, in seguito, donava le ossa della santa al Capitolo, al clero e alla terra di Martina. Nel XVIII secolo, per vari anni, la festa di S. Comasia fu celebrata il 5 novembre, per essere unificata nel 1755 con quella di S. Martino. Una tradizione antica, dunque, che si rinnova ogni anno con riti e gesti sempre uguali, ma animati dallo spirito di gratitudine e devozione verso Santi spesso protagonisti di eventi eccezionali. L’esposizione del simulacro di S. Comasia è stato spesso un atto per invocare la pioggia, in momenti di grave siccità. Come si può leggere negli scritti di Isidoro Chirulli, spesso la scienza non è stata in gradi di spiegare eventi eccezionali, che la fede popolare ha attribuito all’intervento del Santo.

    Tra gli altri, due guarigioni a favore di altrettanti bambini, Francesco Paolo Pierro di appena 50 giorni e Vita Anna Santoro di quattro anni. Fatti eclatanti, non tutti riconosciuti ufficialmente dalla Santa Sede, in cui qualcuno, scetticamente, potrebbe anche riconoscere suggestione popolare. Ma la fede prescinde dal miracolo. E il culto per i santi è anche e soprattutto un vedere come la fede si attualizzi nella loro vita e nei comportamenti quotidiani.

Matteo Gentile

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