Piazza Sant’Oronzo (parte prima) – Grazia Renis

Piazza Sant’Oronzo (parte prima) – Grazia Renis

            È difficile trattare di turismo e gite fuoriporta, o ancora di escursioni naturalistiche, culturali nel tempo del Covid-affaire e del lockdown. Eppure, partendo dal principio che chi si adatta al tempo in cui vive, in qualche modo conserva tutte le sue tradizionali attività, sebbene esercitandole in forme e modalità diverse dal passato.

            I grandi sopravvissuti alle catastrofi naturali e di guerra, di quelle che si sono sviluppate per periodi molto lunghi, in gran parte sono coloro che si sono adattati perfettamente al momento e non chi ha vissuto di speranze della fine del tempo funesto stesso.

            E così, il blocco degli spostamenti decretato dal Governo pochi giorni addietro, il quale, alla luce della ragione, pare che durerà, in varie forme, fino all’inizio dell’estate prossima, e cioè per ancora sei, sette mesi, impone un’inversione di marcia nel nostro incedere quotidiano, e da qui in tutte le nostre attività di svago, compreso il turismo, di grande o di piccolo cabotaggio. Bisogna prendere atto che dalla Globalizzazione in un batter d’occhio siamo passati al confinamento, al non poter varcare i confini del nostro comune di residenza. E così siamo passati da uno scenario dove non v’erano i confini, dove tutti i muri erano stati abbattuti e il limite territoriale era solo un’idea del passato, ad una situazione che rischia di impedirci per lungo tempo di non poter varcare addirittura il perimetro del nostro rione.

            L’idea globalista ci aveva abituati, di fatto, ad un’idea di libertà -seppure illusoria e astrazione necessaria per il nostro benessere- che ci faceva sentire padroni del Mondo, forse anche in modo un po’ capriccioso. Gli obblighi imposti dall’emergenza Covid ci stanno, invece, lentamente ed inesorabilmente abituando ad un’esistenza fatta di ridotte relazioni sociali e a spazi d’azione e di movimento sempre più contenuti. È questo il prezzo da pagare…

            Il lockdown ci impone dunque di disfare non solo le valigie, ma anche l’idea di viaggiare. E però questo, che potrebbe sembrare un fatto drammatico, per chi si adatta non costituisce un limite, perché riqualifica il suo senso di turismo. E in molti sanno che, invece, i viaggi che nel Tempo del Coronavirus possono realizzarsi anche con la mente, che non ha confini e limiti, almeno così pare. Insomma, il contesto impone un nuovo modo d’essere e, in qualche modo, Venti di Ponente per questo propone dei viaggi virtuali, letterari, tutti mentali, e si spera in qualche modo capaci di produrre un gusto, sebbene non uguale a quello di una gita fuoriporta, alternativo e di degna valenza. Un Turismo surrogato? No! Un turismo altro, invece!

            E così, la gita fuoriporta si fa virtuale, dove la lettura, superando i limiti fisici e dello spazio, ci proietta in una dimensione tutta mentale, sognante, democratica anche, ma al tempo stesso si presenta una gita concreta, sebbene sotto altra forma, permettendoci di essere creativi, attivi, esploratori stando comodamente seduti sulla nostra poltrona, magari sorseggiando un tè. È questa una possibilità di reinventare il nostro modo di fare turismo.

            Oggi, proponiamo, una passeggiata virtuale in Piazza Sant’Oronzo, il vecchio e storico centro civico del Capoluogo Salentino. Fino agli anni ’70 del Novecento era il principale centro non solo commerciale, ma anche culturale e politico del Salento tutto. Come in tutte le culture tradizionali, rimaste quasi intatte ancora nei centri della provincia, fatte di contadini (da non intendere “zappatori”), borghesi ed aristocratici, la piazza, in generale, come anche piazza Sant’Oronzo, era il luogo fisico dell’incontro, della vita pubblica. Lì, in Piazza Sant’Oronzo ci si incontrava per ragioni di commercio, e non solo per le trattative attinenti a grosse partite di vino ed olio, ma anche sociali e socializzanti. Qui si poteva incontrare chi era in cerca di nuove amicizie, chi di confrontarsi per ragioni letterarie e poetiche, o ancora musicali. Non mancavano gli appuntamenti politici, da quelli più riservati a quelli pubblici.

            Con riferimento alla vita politica pubblica o strategica, uno snodo di grande rilievo era il bar Alvino, allora arredato in perfetto stile liberty. Era il bar per eccellenza degli uomini di destra. D’altro canto, Ernesto Alvino, il proprietario, un beneventano approdato a Lecce nei primi anni del Novecento, era uomo con idee sicuramente orientate, non al conservatorismo, ma fasciste, intese nel senso del culto dello Stato e della sua forza nello sviluppo industriale, tecnologico e culturale. Nel dopoguerra Ernesto Alvino fondò un giornale che è sopravvissuto fino a qualche anno fa: La Voce del Sud.

            Si affiancava al bar Alvino, il Caffè Buda, sopravvissuto sino ai primi anni ’60. Era il caffè frequentato in maniera particolare da artisti, scrittori e musicisti. L’impostazione dei due ritrovi cittadini, ovvero l’Alvino e il Caffè Buda era diversa, perché il primo era un Bar il secondo un Caffè. La differenza risiede nelle origini storiche dei due luoghi del ristoro. Il Bar ha origini americane e privilegia il servizio al banco, mentre il secondo, il Caffé è di origini mittleuropee e privilegia il servizio al tavolo. Ad ogni modo, il Caffè Buda lasciò negli anni ’60 i suoi locali in favore del Piccolo Credito Salentino, una banca di matrice clericale, chiusa anche questa con le grandi concentrazioni bancarie degli anni’90.

            Negli anni ’70, in Piazza Sant’Oronzo troviamo però anche il Cin Cin Bar, sotto il Palazzo dell’INA, e il Bar della Borsa, sotto l’attuale Casa del Mercante. Non tutti sanno, però, che il Bar della Borsa si denominava così, perché l’attuale Casa del Mercante, fu costruita negli anni ’50 perché doveva ospitare la Borsa dei Vini e da qui la denominazione del bar che oggi ospita il MCdonald’s. Pare che il Cin Cin Bar abbia chiuso i battenti proprio in queste settimane, dopo un’esistenza di più di mezzo secolo.

            E così, tra la piazza stricto sensu e i suoi bar e caffè, Lecce svolgeva gran parte della sua vita pubblica e d’affari, coinvolgendo uomini che provenivano da tutte le parti del Salento. Eh sì, perché al tempo le donne avevano altri circuiti nei quali sviluppare le loro relazioni, non minori di quelle degli uomini. Anzi, i due sessi, soprattutto nei ceti più alti, in maniera complementare, si combinavano e si muovevano su piste relazionali diverse, ma con obiettivi comuni. Molte, infatti, le Donne leccesi, famose per le loro capacità di trattare affari di vario genere e fluidificare molti dei processi decisionali sul piano politico, e del commercio in generale, non mancando anche le loro abilità nelle attività di investimento di varia natura.

            Termina qui, proprio mentre ci si intrattiene sulle donne leccesi, il Nostro primo incontro su Piazza Sant’Oronzo, rinviando al secondo, che verrà pubblicato domenica prossima, ripartendo per l’appunto dalle donne e le loro relazioni con questa piazza, ieri ed oggi.

Grazia Renis

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