Trascrivere e conservare, lasciare un segno di immortalità. “Che cosa lasciamo dopo di noi? - si chiede il giornalista e scrittore Tiziano Terzani in “La fine è il mio inizio” - Sicuramente i figli e i nipoti ma anche un libro da sfogliare in cui racchiudere i sentimenti, gli stati d’animo, i pianti di compartecipazione ma anche le risate liberatorie.” C’è tutto questo nella storia degli uomini e delle donne sulla terra, ma anche altro: questioni di potere e di controllo delle proprietà per imporre le tassazioni, conservare le leggi, fissare formule propiziatorie, i riti, le preghiere, le pratiche divinatorie.
La vita umana è di una complessità sorprendente e disarmante, ma anche straordinaria. Lo stesso anelito che ha guidato i primi artisti a lasciare le proprie impronte sulle pareti delle caverne abitate o le scene di caccia, di vita quotidiana, i riti, ecc. Richard Ovenden, bibliotecario alla Bodleian Library dell’Università di Oxford dal 2014, guarda dall’interno a questo patrimonio universale con la dovuta ammirazione e preoccupazione, perché riconosce l’immensità del lascito culturale delle generazioni che ci hanno preceduto, mai salvo per sempre come dimostrano le numerose ed esecrabili distruzioni operate dai nemici, volta per volta, e la pericolosità delle immense informazioni che gestiscono poche aziende al mondo.
Egli ricostruisce la storia delle grandi scoperte archeologiche che ci hanno restituito tesori culturali a cominciare dalla biblioteca di Assurbanipal, famoso e terribile re assiro, tratte dalle rovine di Nimrud e Ninive, scavate da Henry Layard a metà dell’800, 28 mila tavoletta su cui c’è inciso di tutto, testi letterari che vanno dalla religione all’astrologia. Uno sguardo sul passato, uno squarcio nel buio del tempo. Man mano che la civiltà si è affermata si sono evolute le forme di scrittura e di arte, frutto della elaborazione del pensiero. Le grandi biblioteche a cominciare da quella di Alessandria in Egitto, realizzata nel III e II secolo a.C., dai Tolomei, una biblioteca vivente diretta da scienziati e letterati come Euclide, Eratostene, Archimede, Apollonio Rodio, conoscono la distruzione attraverso i falò. Tutto brucia e si disperde in cenere. Fu Cesare ad appiccare il fuoco nel 48-47 a.C. o il Califfo Omar nel 642? Poco importa. Accade che le biblioteche segno del grado di civiltà di una cultura siano prese come obiettivo di distruzione dai nemici come si volessero annientare le radici culturali del nemico.
La nostra storia è piena di questi esempi: la corsa a costruire biblioteche e la follia della distruzione con il fuoco, per una volta non sacro. Molti esempi negativi Richard Ovenden richiama alla memoria, dalle numerose biblioteche conservate nei monasteri in Gran Bretagna dopo la Riforma religiosa, arse dal fuoco o distrutte oppure nel migliore dei casi trafugate. Gli esempi per nostra sfortuna sono innumerevoli in tutto il mondo, alcune addirittura bruciate due volte come quella di Lovanio in Belgio da parte dei tedeschi agli inizi della prima e della seconda guerra mondiale, per lo più come primo atto di guerra, mentre al tempo delle guerre peloponnesiache si bruciavano le messi o si inquinavano le sorgenti.
Questo accadde anche da parte degli Inglesi contro i coloni americani che lottavano per la libertà: il primo atto di guerra fu il rogo della Casa Bianca e della biblioteca del Congresso, ripagati dagli insorti con il fuoco “purificatore” e distruttore che divampa su York e sulla sua biblioteca. Sarajevo in Bosnia la sera del 25 agosto 1992 subisce l’attacco dei serbi che lanciano bombe incendiarie sulla biblioteca e sottopongono al tiro dei cecchini, appostati sui rilievi che circondano la città, i vigili del fuoco che intervengono e sulla bibliotecaria Aida Breturovič, ferita a morte. La brigata di carta di Vilnius in Lituania, una forma di resistenza per salvare il salvabile e il rogo dei nazisti il 10 maggio 1933 a Berlino Unter del Linden, quando vennero bruciati migliaia di volumi. Insieme ai libri hanno sofferto gli archivi, depredati dalle potenze coloniali o di recente dalle alleanze sancite dall’Onu contro l’Iraq di Saddam Hussein.
“E’ giusto - si chiede l’autore – che un paese venga privato dei documenti del suo passato? Questo non inficerà la costruzione del futuro?” Siamo in un’epoca di ipertrofia da informazioni gestite dai social, che mettono in difficoltà le biblioteche e gli archivi pubblici a catalogarle. “Al momento bibliotecari e archivisti, custodi del passato, sono le avanguardie del futuro.” Ne devono essere consapevoli i cittadini e soprattutto i politici che devono investire per garantire la sopravvivenza culturale della nostra specie. Edizione Solferino, Milano 2021, pp. 366.
Paolo Rausa