A quanti di noi non è capitato di aver chiuso l’ultima pagina di un libro e nell’attesa di cominciarne un altro scoprirsi a dire: “Non ho niente da leggere?” Mi riferisco ai lettori, per così dire, a tempo pieno, quelli che viaggiano nelle loro giornate sempre con un libro da leggere, da cominciare, da finire; come un leggero indispensabile bagaglio a mano.
Dicevo dunque: questo lasso di tempo tra l’ultima pagina di un libro e la prima di un nuovo libro può sembrare di vuoto; in realtà è un tempo pieno di libertà e di sorprese. E ci diciamo: “non ho niente da leggere…” In uno di questi periodi di “vuoto” mi sono spesso affidata a riletture e devo dire per esperienza che questa è un’autentica sorpresa soprattutto se il libro lo abbiamo letto per la prima volta molti anni prima. Ci scopriamo diversi, cambiati e quello che ci era magari piaciuto non ci dice più niente e allo stesso modo possiamo scoprire un gioiello che non avevamo filato neanche di striscio.
Ho trovato per esempio in una “rilettura” un passaggio che voglio regalarvi. Il libro è “Il bell’Antonio” di Vitaliano Brancati. È un passaggio nostalgico che parla del sud e dell’azzurro del suo cielo… “gli occhi fissi nel cielo, quel vivo, caldo, pienissimo cielo del sud che, nel punto in cui termina il tetto o la terrazza o la cima dell’albero, subito comincia, e non vago, perplesso e diradato come accade nelle città del nord, ma già densissimo e fittissimo cielo, già maestoso e taciturno quale può trovarsi a mille anni luce dalla Terra”
Che ne pensate… è un incanto? Questo l’ho trovato quando pensavo di non aver niente da leggere. E poi in questo lasso di tempo fra un libro e l’altro ho sempre le mie “Novelle per un anno” di Luigi Pirandello, che poi sono la massima espressione di libertà perché puoi leggere la novella che vuoi senza un ordine stabilito. Saltare da pagina 20 a pagina 100 come ti pare; queste novelle sono come una qualunque delle “Sei Consolazioni” di Liszt piene di vuoto da riempire di emozioni. Queste novelle sono perle e Pirandello, non devo dire io del suo genio indiscusso, ha una scrittura modernissima, liscia e levigata. Senza tempo. E poi fra tante perle ho trovato quella novella che per me è un diamante, si intitola “La Fede”. Chissà che effetto mi avrebbe fatto vent’anni fa! Avrei riconosciuto il diamante? chissà!
Scorgo dunque la dignità di alcuni libri: non insistono, non tentano di convincerti perché sono convinti del loro, ma ti aspettano. E tornando alla novella, questo diamante esamina la Fede delle persone semplici passando da Don Pietro, un vecchio parroco e da Don Angelino, un giovane sacerdote, deciso, quest’ultimo a lasciare la veste, non potendo più sopportare vincoli e dogmi… finché non incontra la fede di una semplice contadina che crede di poter ringraziare San Calogero, per una grazia ricevuta, con due galletti, tre lire, mandorle e noci. Il finale è strepitoso, un magistrale esempio di scrittura ispirata sapiente, meravigliosa.
Tutto questo mi succede quando non ho niente da leggere: se penso a quanti brutti libri ho letto influenzata nella scelta dalla classifica dei best sellers, mi risuonerebbero le parole che proprio Don Pietro rivolge a Don Angelino per indurlo a non lasciare il sacerdozio: “Vanità, vanità!” Ma mi risuonano sempre anche le parole di Gustav Flaubert che, a proposto di libri e vanità, dice: “Non leggete come fanno i bambini, solo per divertirvi o, come fanno gli ambiziosi, solo per istruirvi e fare bella figura. No, leggete per vivere”.
Se non avete niente da leggere, ho voluto con queste mie divagazioni, indicarvi una novella di otto pagine di vita.