«Che cento fiori fioriscano, che cento scuole di pensiero gareggino», che 16 librerie si aprano e centocinquanta dipendenti vendano libri… Diverse le circostanze ovviamente e i propositi fra il celebre detto di Mao, che nelle sue intenzioni avrebbe dovuto favorire la partecipazione popolare alla costruzione della Nuova Cina, e la volontà di tre giovani donne di aprire il negozio di Zamolek, un luogo di cultura, una libreria in cui mettere in vendita opere letterarie in arabo e nelle lingue occidentali: francese, inglese e tedesco. L’8 marzo 2002 tre giovani, Nadia Massef (27 anni, “donna d’azione”), Hindi sua sorella (30 anni, “riservata e leale”) e Nihal (40 anni, “brava con le persone”) decidono nonostante i pareri contrastanti e dissuasivi di dare vita ad una attività apparentemente commerciale, ma sostanzialmente culturale: portare la letteratura, l’arte, la fotografia, le guide turistiche in Egitto, al Cairo, ripercorrendo a ritroso l’antico detto: “gli egiziani scrivono i testi, i libanesi li pubblicano e gli iracheni li leggono”.
Questa volta, grazie alla loro testardaggine, alla passione, alla volontà di superare gli schemi uomo/donna, la cultura come appannaggio dei pochi e comunque solo uomini, quel detto si ribalta: saranno gli egiziani a leggere i romanzi, le opere letterarie, le poesie provenienti da ogni parte del mondo, a cominciare dagli autori arabi, mescolati a quelli di ogni altra parte del mondo, nella loro lingua, in modo da favorire il mescolarsi dei pensieri e delle culture. Ma prima ancora bisogna riordinare tutta la materia e organizzarla a partire dalla veste con cui si presenta un libro, non sfilacciato ma bello da vedere e da pregustare. E’ una rivoluzione che sente gli stimoli sociali che giungono dalla società e mettono in discussione il potere assoluto e tirannico di Mubarak prima e della Fratellanza musulmana poi, dimostranze in presidi permanenti a piazza Tahrir. Millioniyat si chiamano, manifestazioni di piazza oceaniche, che contaminano tutto il Maghreb, le primavere arabe ricche di aspettative per il cambiamento democratico e invece soffocate dalle armi e dagli “stivali” dell’esercito. Un regime ancora più duro che non tollera la libertà di pensiero e vede ombre dappertutto perfino nel volto dolce e gentile dello studente in Italia Patrick Zaki, che rischia di fare la fine di Giulio Regeni, rapito al Cairo il 25 gennaio 2016, giorno del quinto anniversario delle proteste di piazza Tahrir e ritrovato senza vita il 3 febbraio successivo. Nessuno si è attribuito la sua morte, né il regime militare apre bocca per assumersi la responsabilità della sua fine. “Diwan - il nome della libreria e del progetto di espansione dell’iniziativa culturale e commerciale – è stata la mia lettera d’amore per l’Egitto.”, confida Nadia Wassef. Un nome che è un programma, una condizione, un’aspirazione. E può significare una raccolta di poesie, un luogo in cui ci si riposa, un incarico, un impegno…
Il libro descrive il lungo lavoro organizzativo per mettere in piedi la libreria, le difficoltà nel reperire il materiale da esporre e le innovazioni apportate nell’accompagnare i luoghi dell’esposizione con una caffetteria per favorire il dialogo, con le sezioni immaginate e realizzate: i libri di autoaiuto, gli Egypt Essenzials, testi sull’antico Egitto, fotografici, le guide tascabili, sulla cucina e sull’arte, attingendo alla tradizione e alla cultura locale anche preislamica. Un libro su tutti “Le mille e una notte”, Alf layla wa layla in arabo, che l’orientalista francese Antoine Galland aveva tradotto in francese e che in Arabia Saudita è ancora proibito. “Forse leggere è un po’ come viaggiare - pensa Nadia Wassef - e che l’ospitalità è come l’amicizia”. Si fa così largo dopo una serie di difficoltà la necessità di evadere e di conoscere altre esperienze. Dopo 14 anni dà un taglio netto e si trasferisce con le due figlie a Londra. “In Inghilterra non mi sento un’immigrata, né un membro di una diaspora”, dice perché citando “Lo straniero” di Camus: “La consapevolezza di non appartenere a nessun luogo mi fa sentire libera.” aggiunge. “Bisogna coltivare il proprio giardino, ci ricorda il Candido di Voltaire”, e per fare questo occorre aprirsi al mondo, senza preclusioni di sorta. Sugli scaffali delle sue sue librerie si possono trovare testi filosofici del mondo antico greco, Platone e Socrate, la poesia epica di Omero, Ovidio con i suoi Ars amandi e Remedia amoris, Gilgamesmesh e I racconti di Canterbury insieme alla “Trilogia del Cairo” di Nagib Mahguz, facendo anche i conti con gli aspetti economici collegati. Vale sempre la massima di Reid Hoffman, il cofondatore di Linkedin: “Un imprenditore è qualcuno che salta da un burrone e mentre precipita costruisce un aereo”. Alle incombenze dell’imprenditrice Nadia Wassef assomma quelle di madre con due bambine, Zein e Layla, chiuse le storie affettive con i numeri uno e due.
“In quanto donna come riesci a conciliare le esigenze della casa e del lavoro?”, le chiedono nel corso di un’intervista. “Non ci riesco… Non riuscirò mai!”, risponde lapidaria Nadia. Perciò arriva la svolta nella sua vita. La madre la invita a non perdersi d’animo perché “devi ringraziare che stanno chiudendo porte, se ne apriranno altre, non temere, e sii umile…”, la conforta. Un insegnamento che ben si concilia con la visione di Samuel Beckett, “il mio pessimista preferito”, dice: “Tenti sempre. Fallisci sempre. Non importa, tenta di nuovo.” Si applica a ogni cosa: matrimonio, affari, amicizia, amore… il suo messaggio al mondo. Nadia Wassef ha ottenuto un master of Fine Arts alla Birkbeck University of London, in Antropologia alla School of Oriental and African Studies della University of London e un Master in Inglese e letteratura comparata alla American University in Cairo. È stata ricercatrice e patrocinatrice della Female Genital Mutilation Task Force e all’interno del Women and Memory Forum. E’ stata nominata nella lista di “Forbes” fra le duecento donne arabe più potenti del Medio Oriente.
Paolo Rausa