Che cosa viene in mente, Gaia, mentre leggo i tuoi pensieri, le riflessioni, i ricordi rigati di lacrime? La scienza descritta sullo scudo di Achille, che la madre Teti aveva fatto forgiare da Efesto con le scene di una civiltà: le attività di semina e raccolta, le feste nei campi, i giochi funebri per onorare i defunti e l’amministrazione della giustizia, all’aperto. I vecchi saggi si riunivano, ascoltavano i convenuti, il ricorrente che chiedeva il riconoscimento e la riparazione del danno e di fronte a lui il reo o presunto tale. Un rito che si concludeva con una formula compensativa. La scena si sviluppa nei canti finali dell’Iliade e conclude la parabola di una civiltà che rimane impressa nel nostro immaginario.
Che cosa rimane invece delle vicende che Gaia Tortora coraggiosamente richiama alla memoria e che hanno sconvolto la fine della sua famiglia, oltreché la vita del padre Enzo? La sapienza non può ingannare e quei vecchi giudici se avessero commesso un errore sicuramente non sarebbero lì a continuare ad amministrare la giustizia. Ma lì sono gli dei a compiere l’opera, qui gli umani si sostituiscono agli dei e pensano di farlo degnamente. Guardo le immagini di Gaia, sulla copertina con il padre, sereni tutti e due, e quella sulla quarta, lei splendida che ha appena compiuto la traversata nel deserto. Che cosa resta della sua esperienza travolgente?
La ragazza, appena quattordicenne, che si reca a scuola per l’esame di terza media non sa nulla della catastrofe che si sta riversando addosso. Una tragedia non dovuta ai comportamenti dei personaggi che vogliono infrangere il fato e le leggi degli uomini ma che sono vittime dello strapotere delle istituzioni. La magistratura inforna centinaia di vite come se avesse una rete a strascico, salvo poi doverne liberare la maggior parte, senza neppure fare una verifica sul nome Tortona al posto di Tortora e poi verificare come in due semplici e abili mosse fece il giornalista Vittorio Feltri: chiamare quel numero telefonico indicato nell’accusa per scoprire che è di un cittadino ignaro di tutto e poi verificare che il giorno in cui il camorrista avrebbe consegnato una scatola di droga ad Enzo Tortora era in carcere. Ma allora se è possibile prelevare alle 4 di mattina con un apparato repressivo da invasione un cittadino e ammanettarlo a ludibrio della pubblica piazza e si finisce direttamente in carcere nelle condizioni bestiali in cui si è trattati, se è possibile questo c’è qualcosa di sbagliato nel rito della giustizia.
Che giustizia è? ci viene da chiedere. Gaia racconta, si sofferma, qualcosa ogni volta le impedisce di continuare, che succede? Perché è toccato a suo padre questo calvario? Pannella è lesto a proporre ad Enzo una battaglia di civiltà contro lo strapotere dei giudici, diventa eurodeputato quindi non è più in carcere e poi va ai domiciliari. Ma Enzo sa che lì si fermerà la sua vita e vuole farne un esempio di civiltà, dal malcostume ad una nuova procedura di garantismo. “A che punto è la notte?”, avrebbe potuto dire. Invece pronunzia dopo alcuni anni di lontananza dalla tv: “A che punto eravamo rimasti?” La madre di Gaia e la sorella Silvia cercano in tutti i modi di alleviare questa stortura, con tutti i danni materiali e psicologici causati. Anche Gaia fatica ad uscirne. Vorrebbe gridare che la mala giustizia deve finire. E chiama ad una operazione di verità la stampa che si abbandona alla gogna mediatica. L’avviso di garanzia è già una condanna.
Chi è colpito deve abbandonare gli incarichi pubblici e rimettersi in genuflessione ai tempi e ai modi della giustizia, sperando che prima o poi si faccia luce e si scopra la verità. Qualcuno esibisce una corda con il cappio in parlamento, altri gettano monetine per disonorare il politico di turno che si difende come può, a volte suicidandosi. Ecco a cosa serve questo scavo doloroso di Gaia, a difendere la dignità umana contro le manette facili e le condanne prima e fuori del processo. Se è questo allora dobbiamo ritornare ad Omero, allo scudo di Achille e riportare la giustizia ai suoi ambiti istituzionali che ha travalicato, “arrecando lutti e infinite morti agli achei”. Mondadori Libri, Milano, 2023, pp. 126.
Paolo Rausa