Il Carnevale, che termina con il cosiddetto martedì grasso, ovvero il giorno prima del mercoledì delle Ceneri (tranne nel rito ambrosiano, per il quale ha una settimana in più) è notoriamente quel periodo dell’anno in cui si diceva “è lecito impazzire”.
Lo dicevano già gli antichi romani, e infatti il termine Carnevale deriva dal latino “carnem levare”, ovvero eliminare la carne, in riferimento all’ultimo banchetto che si teneva l’ultimo giorno prima delle ceneri, prima di bandire l’alimento dalle tavole fino al giorno di Pasqua, ovvero per tutta la durata della Quaresima. Storie risapute, sicuramente!
Ma quanto ancora oggi il Carnevale è una festa che fa riferimento alla tradizione cristiana? E quanto, invece, come molte altre, non escluse Pasqua e Natale, esso assume caratteristiche mondane e commerciali? Come per molte tradizioni, si può risalire a qualcosa di molto simile ancor prima dell’inizio dell’era cristiana, trovandone le origini nei Saturnali dell’antica Roma nelle feste dionisiache del periodo classico greco. Durante queste festività, analogamente a quanto avverrà nel carnevale cristiano, era lecito lasciarsi andare, liberarsi da obblighi e impegni, per dedicarsi allo scherzo e al gioco. Anche la pratica del mascherarsi serviva ad accomunare il ricco e il povero, facendo scomparire per qualche momento le differenze sociali. Una volta terminate le feste, il rigore e l'ordine tornavano a dettare legge nella società.
Oggi, evidentemente, non è più così, anche se il Carnevale assume ancora tutto il fascino legato spesso al gusto del proibito e della trasgressione. Si pensi al leggendario Carnevale di Rio, con la mitica sfilata messa in scena dalle sette scuole di ballo principali della città, tra piume, paillettes e balli a ritmo sfrenato di samba (e non solo). Oppure al più morigerato carnevale di Basilea, in Svizzera, definito patrimonio mondiale immateriale dell’Unesco, dove al suono di tamburi e flauti si consuma una marcia che dura ventiquattro ore, con maschere caratteristiche di origine celtica, nella quale sono coinvolte intere famiglie, dai neonati ai nonni. Oppure all’elegante e raffinato Carnevale di Venezia, spunto per innumerevoli composizioni artistiche di vario genere, durante il quale, dice la leggenda, si consumavano anche efferati reati nell’anonimato delle maschere. Un concetto ricorrente, quello delle maschere, che nascondono la realtà, o che, come diceva Pirandello, diventano la realtà stessa, pur sotto mentite spoglie.
Metaforicamente, ma non troppo, il Carnevale rappresenta il desiderio inconscio di rompere le regole, abbattere i muri delle convenzioni, trasgredire alle regole imposte dalla religione o dalla società. Secondo Carl Gustav Jung, padre della psicologia analitica, il Carnevale è un modo per riequilibrare e integrare il nostro lato “Ombra”, che ognuno di noi nasconde in profondità e tende a rifiutare, perché considerate socialmente “inammissibili”. Queste parti, chiamate da Jung “parti ombra o rimosse”, tendono a venir fuori nei momenti meno opportuni della vita, magari ostacolandoci il cammino o facendo emergere sintomi e difficoltà di vario genere.
Il Carnevale, dunque, rappresenterebbe un modo condiviso, socialmente accettato e controllato, per dar voce alle nostre parti nascoste, attraverso l’utilizzo di maschere, costumi e comportamenti trasgressivi, appunto. E allora, i bambini? In realtà, non tutti, da piccoli, amano davvero il Carnevale. Per un bambino, fino a una certa età, la vita è tutta un gioco, e quindi il mascherarsi da eroe preferito non è che uno dei tanti giochi. Il potere terapeutico di questa festa tanto amata, ma spesso temuta, dalle personalità meno inclini allo “sforamento” delle regole, è in questo senso più accentuato negli adulti e, spesso, nelle persone più timide, che possono sentirsi più sicure nei panni di un personaggio che amano (o che ammirano) e che potrebbero mantenere questo stato di benessere anche al di fuori del periodo carnevalesco.
Se poi vale ancora il detto “a Carnevale, ogni scherzo vale”, il vero dilemma è: quale scherzo vale davvero? Per dirla alla maniera di Gigi Marzullo, il noto conduttore e intervistatore della notte: la vita è un ballo in maschera, o la maschera è un modo per vivere la vita che vorremmo?
Matteo Gentile