Il grande drammaturgo, scrittore e poeta Luigi Pirandello soleva affermare che “L’ironia è quella capacità di far apparire normale ciò che è folle, e folle ciò che è normale”. Secondo questo assunto, l'ironia è l’abilità di rivelare le contraddizioni e le incoerenze della vita umana, e nelle sue opere, sia teatrali che letterarie, Pirandello la utilizza per evidenziare il divario che divide l'apparenza dalla realtà, prendendo di mira l'assurdità presente nelle convenzioni sociali e nei ruoli che le persone assumono nella società, le famose “maschere”.
Ma quanto, nell’era dei social e della cosiddetta Intelligenza Artificiale, il cui avvento appare ineluttabile, l’essere umano è ancora in grado di praticare e, soprattutto, comprendere, l’ironia? Nella nostra ricerca dell’etimologia dei termini, che spesso ne spiegano il significato più vero e profondo, scopriamo che ironia deriva dal greco eironèia, che si traduce in interrogazione e finzione: chiedersi il perché delle cose, dunque, e fingere di interpretarle in un modo per nasconderne il vero significato. L’ironia, diceva Aristotele, “è il contrario della millanteria: si esercita contro coloro che credono, o vogliono far credere, di sapere più di ciò che le nostre facoltà ci consentono”.
Spesso accade, leggendo i commenti a delle affermazioni evidentemente ironiche, che la gente prenda sul serio quel “contrasto” che invece si vuole evidenziare, non riuscendo pertanto a percepire quella forma di distacco e critica nei confronti della realtà e delle convenzioni sociali. L’ironia, tuttavia, non andrebbe totalmente sovrapposta all’umorismo o alla comicità, che restano una prerogativa del mondo letterario, dello spettacolo o comunque spesso della “finzione”. L’ironia è una dote che andrebbe esercitata nella vita quotidiana, come un’arma indispensabile contro la presunzione del cosiddetto “io so tutto” che in termini meno eufemistici si traduce “voi non siete nulla” (ci autocensuriamo, rimandando alla famosa citazione del Marchese del Grillo, il protagonista del romanzo di Luca Desiato, tratto da un’operetta di fine 800, reso poi famoso dal film di Mario Monicelli e dall’indimenticabile interpretazione di Alberto Sordi).
Essere ironici è anche saper guardare alle cose della vita con il giusto distacco, saper ridere di se stessi, anche se l’autoironia è ancora più difficile da esercitare rispetto all’ironia, specialmente in un mondo contemporaneo in cui apparire sembra essere più importante che essere, in quella contrapposizione che già lo psicologo e filosofo Erich Fromm teorizzava negli anni ’80 del secolo scorso. Con il suo saggio “Avere o essere” il noto filosofo di origini tedesche, individuava la grande dicotomia che il consumismo stava creando negli esseri umani, ridotti a ingranaggio della macchina burocratica e produttiva, manipolati nei gusti, nelle opinioni e nei sentimenti dall’avere, alla stregua di quella che Giovanni Verga definì “la roba”, il possedere contrapposto all’essere.
Fromm auspicava un'esistenza caratterizzata e incentrata sulla modalità dell'essere, in quanto attività autenticamente produttiva e creativa, capace di offrire all'individuo e alla società la possibilità di realizzare un nuovo e più profondo umanesimo. L’ironia, ad ogni modo, resta uno dei mezzi più potenti che l’Uomo, soprattutto occidentale, ha a disposizione per superare questa contrapposizione.
Non a caso, Voltaire sosteneva che “l’Uomo è il solo animale che piange e che ride”. Saper ridere di sé e del mondo, in maniera intelligente e ironica, può e deve essere una medicina contro l’omologazione, l’appiattimento e il relativismo imperante. Prendersi troppo sul serio ha portato da sempre l’umanità a innalzare barriere, creare diseguaglianze, che oggigiorno appaiono ancora più marcate nelle società mondiali, dopo l’evidente fallimento della globalizzazione che avrebbe dovuto portare maggior uguaglianza ma, che di fatto, ha accentuato le differenze.
Se si esercitasse più spesso l’ironia, quella autentica, supportata da intelligenza e capacità di discernimento tra quello che davvero giova a noi stessi, e non a chi ce le propina per meri fini commerciali, si potrebbe apparire pazzi, ma sicuramente si riuscirebbe a essere più liberi. E fare come il personaggio pirandelliano, lo scrivano Ciampa che, nella famosa opera “Il berretto a sonagli”, svelava a Beatrice, la vera ricetta della felicità: “Ma guardi signora è facilissimo, le insegno io ad esser pazza. Basta gridare la verità in faccia a tutti, loro non ci crederanno e la prenderanno per pazza.”
Matteo Gentile