Quando si ama scrivere è perché si è portati a fare delle considerazioni, si nutrono delle riflessioni, si tenta di scavare nel profondo, ci si spinge a comprendere verità anche scomode, ad andare al netto del predetto, del predeterminato, del pregiudizio di tutto quell’apriori, insomma, che sovente fa da preambolo indicativo a una precisa e univoca interpretazione, raramente sfolgorante in tutta la sua coerenza logica.
In questo senso il principio di non contraddizione introdotto da Parmenide potrebbe, a distanza di secoli, venirci in soccorso, fatto salvo che la menzogna non sia quasi mai, per quanti sofismi possa argomentare, un esempio lampante di rigore logico e qualche falla prima o poi la tira fuori.
Gli specialisti della falsificazione poi sanno collocare bene la loro verità: in genere nel posto dove a nessuno viene in mente di andare a cercarla, ossia in bella vista, diciamo non proprio all’ombra, ma esattamente al sole dove spesso splende così tanto da essere accecante e dunque difficile da guardare, più che mai da accettare.
Compito arduo, allora quello dello scrittore, ma affascinante. Simile a quello dell’investigatore, che spesso all’osso ci arriva come il segugio, grazie all’istinto, a quell’odore basso e prepotente nella sua sincerità, cui non può davvero sottrarsi. Perché, sempre, in quella palude maleodorante, in quello stagno del pathos o nel laghetto dell’ethos, si vanno a pescare le radici di un logos che, per quanto ben costruito, affonda nell’instabilità della fanghiglia. Quindi trovarsi all’ombra o alla luce di un pensiero è come stare sdraiati sotto una bella e frondosa quercia che ti sfilaccia brandelli di verità tra le foglie mormoranti nel vento.
A te, scrittore o lettore, sta allora la forza, la volontà, il piacere, per qualcuno l’insana gioia di volersi definire a tutti i costi intelligente, per altri un’opposta umiltà di comprensione, nel comporne il puzzle. Mi annovero come facente parte di quest’ultima, spesso vilipesa categoria, sovente accolta come portatrice di un’aggressione all’integrità di un pensiero codificato dal quale non si ha alcuna intenzione di staccarsi e che d’altra parte non è mia intenzione destabilizzare. Il confronto e il dialogo infatti sono le fondamenta del pensiero costruttivo e anche di quello creativo.
E allora condivido i miei pensieri e le mie riflessioni. Lo faccio all’ombra della parola, delle mie stesse parole, pur sapendo che la parola ha molte facce interpretative, esponendoli al rischio del fraintendimento, ma anche alla possibilità di una fioritura e di un arricchimento esistenziale di cui noi tutti possiamo beneficiare. Le parole in fiore alla cui ombra, insieme, oggi facciamo viaggiare e fiorire il pensiero sono le seguenti, tratte dalle mie pubblicazioni: idee, idea, felicità, gioia, dolore, armonia, origini, pensiero, bisogni, sogno, sogni, incubi, terra, fiore, frutto.
Da “In sostanza l’amore”
“Perché le cellule hanno idee, anzi, sono esse stesse idea di morte e di vita. Basta solo scegliere tra le due alternative e poi premere il pulsante giusto, come quando si accende e si spegne la luce con un interruttore.”
“La felicità, a volte, è così pura che quando sta accadendo qualcosa che sta cambiando la tua vita, è come se non stesse accadendo che la sola cosa possibile. La gioia più vera si accoglie con grazia, con la deliziosa sensazione che è proprio così che desideriamo che sia. Sogniamo che sia. Ed è.”
Da “Fata del cuore mio”
“È un dolore antico questo, che ci accompagna tutti con un sempre così fermo che a tratti sembra essere un mai. Un dolore da taglio, come se serbassimo il ricordo straziante di una condizione di bellezza perfetta e di pura armonia, dalla quale non si sa bene per quale ragione siamo stati bruscamente e crudelmente strappati.”
…“Venivo dalle origini. Il vecchio Nanni era alla fine. Ero stata terra, fiore da poco e non avevo ancora dato frutto. Nella fossa della terra, invece, lui già si vedeva precipitare. Per questo, seduto nel vano di un magazzino aperto sulla strada, si aggrappava alla luce dei pomeriggi estivi lunghi e lenti a svanire nella sera, all’allegria dei bambini che giocavano, a quell’ora, fuori dalle case arroventate dal sole d’agosto.”
Da “Figlia mia”
“Si respirava la dolcezza della profondità, la forza delicata del pensiero liberato dai pregiudizi perle mille avventure, che infiniti altri e diversi, ci regalano, vivendole e raccontandole. Apriva le narici e il cuore la leggerezza tiepida e confortevole delle innumerevoli parole, spesso considerate di pietra e che, invece, come ogni singola cosa, sono liquide e fluide, sono sogni. O incubi, ma questo sta a noi deciderlo.”
Da “Sorelle d’estate”
“Irene ebbe una sfumatura dolce nell’intonazione:<<Ci sono persone che vivono di bisogni e, quando con l’età i bisogni diminuiscono, credono di essere riusciti ad annullarli. In realtà si sono estinti naturalmente. >> Con voce altrettanto dolce, voltandosi a osservare la collina brulla, punteggiata di rovi e di arbusti che avevano alle spalle, Talia disse:<< Perché credono di doverli eliminare e non dominare e cioè averne il controllo, come credono di dover eliminare le aspettative. Anche questo è un punto cruciale. In questo modo si tende a eliminare, e con gran fatica e spreco di energia, anche il desiderio, il sogno, il progetto, insomma tutto ciò che è vita vera, e con essa la capacità di agire, l’azione…”
Rossella Maggio