Giunta è l’estate. E come direbbe Antonio Vivaldi: «Langue l’huom, langue ‘l gregge e arde ‘l pino». L’Inferno, oltre l’attuale soffocante estiva calura… potrebbe essere uno sciagurato tormento!
E l’ispirazione è legata a un ricordo d’infanzia, quando con i miei genitori andai a vedere il cantato lungometraggio d’animazione Il gobbo di Notre Dame, il “34° Classico” prodotto dalla Walt Disney Animation Studios, con Regia di Gary Trousdale e Kirk Wise.
Era il 1996. Il cartone mi piacque fin da subito e, assieme a La Spada nella Roccia, è ancora oggi fra i miei preferiti. Ovviamente, all’epoca lo guardai con occhi e comprensione d’un piccolo pargolo ignaro di quanto la vita potesse essere complicata; col senno di poi sono giunto alla consapevolezza che la sceneggiatura e il soggetto, curati da Tab Murphy e ispirati al celebre romanzo Notre-Dame de Paris scritto da Victor Hugo, sono molto complessi, tutt’altro che banali. Aspetti che non dovrebbero sorprenderci, poiché lo stesso Hugo è noto per la complessità dei temi sociali trattati. Prestando attenzione durante la pellicola, ci si può rendere conto che a essere “inquadrati” non sono tanto i personaggi quanto la loro psiche.
A narrarci la storia sul misterioso campanaro è Clopin Trouillefou, un carismatico burattinaio-cantastorie, ventriloquo e acrobata gitano, “sovrano” della Corte dei Miracoli parigina, covo di ladri, zingari, finti infermi e altro ancora.
Ma chi sono i principali personaggi della vicenda?
Febo, l’avvenente capitano della guardia. È un soldato onesto e leale che non tollera in alcun modo i soprusi, e più volte finirà col disubbidire agli ordini impartiti. Ma il protagonista indiscusso è Quasimodo, il misterioso campanaro gobbo della Cattedrale, salvato dall’arcidiacono quando era ancora in fasce. Nonostante la tozza corporatura, manifesta grande agilità e forza fisica. Ha animo gentile ed è sempre in compagnia dei comici gargoyle Victor, Hugo e Laverne.
Il suo antagonista è il ministro Claude Frollo. Uomo superbo, fortemente devoto al Signore e dal pugno di ferro, ritiene che tutte le sue opere rappresentino la volontà di Dio il quale nutre un ossessivo sentimento lussurioso per Esmeralda una bellissima e sensuale danzatrice gitana, sempre affiancata dalla sua capretta Djali, che, come quasi tutti gli zingari, si dimostra ostile nei confronti dell’autorità cittadina.
Nella prima scena del film, che si apre con una panoramica della Cattedrale di Parigi, Clopin canta: «Ma ecco un quesito, scoprite chi è il vero mostro a Notre-Dame, chi è brutto dentro o chi è brutto a veder. Ma chi è? Ma chi è? Chi è il mostro a Notre-Dame?» La domanda rappresenta solo una parte della morale, tanto più complessa di quanto non possa sembrare a un primo acchito.
A parer mio, la domanda interessante è non tanto chi sia il mostro ma cosa egli sia.
Il ministro Frollo, nonostante la superba veste di malvagio, non è semplice da comprendere. La sua intricata coscienza emerge soprattutto nei brani musicali “Le campane di Notre-Dame” e “Luci del Paradiso e Fiamme dell’Inferno”. In quest’ultimo, in particolare, saltano fuori i sentimenti nutriti per la danzatrice gitana dalle prospettive sia del razionale Quasimodo sia dell’irrazionale e intransigente Frollo.
A permetterci di inquadrare la personalità di Frollo è Clopin nella scena iniziale, accompagnata da “Le campane di Notre-Dame”, dove si narra la storia di Quasimodo, rimasto orfano dopo che il ministro ne uccise la madre, una zingara sospettata di furto. Frollo, disputando sull’accaduto con l’arcidiacono di Notre-Dame, sostiene: «Sono senza colpa, è scappata, l’ho inseguita. Ho la coscienza pulita!»; la risposta: «Voi potrete mentire a voi stesso, a quei servi che stanno con voi, ma scappare però non potrete giammai perché là vi sta guardando Notre-Dame!» E volgendo lo sguardo alle effigi della Cattedrale, pervaso dalla paura, «il suo coraggio abbandonò».
Frollo, come racconta Clopin, «vedeva il male in ogni cosa, tranne che in lui», e «dai vizi il mondo voleva ripulir».
Ma quale opinione ha egli di sé? Lo scopriamo in Fiamme dell’Inferno: «Beata Maria, Tu sai che uomo sono io, senza macchia e ricco di virtù. Beata Maria, Tu sai che son più puro io di tutta questa plebe intorno a me.» E ancora: «Ma allora, Maria, dimmi perché proprio a me. L’anima mi brucia al suo pensier. La vedo, lo sento, fra i suoi capelli di fuoco c’è e annienta ogni controllo che c’è in me. È il fuoco, Inferno, che brucia dentro me. Mi spinge al disastro e non so più che far.»
Dubbi non ve ne sono: Frollo, inquisitore di plebei e peccatori, persecutore di zingari e criminali, e per lui le due cose spesso coincidono, vive un tormento che lo dilania, perché, in fondo, che colpa ne ha, se la gitana s’è insinuata nel suo cuor e voglia Dio che non esista il desiderio che sia sua?