Un’immagine paesaggistica particolarmente cara a chi vive nel Salento sono gli estesi vigneti che, da metà a fine estate, si aprono come un luminoso mare di verde poco oltre la periferia dei vari paesi.
Ciò che lo sguardo non vede immediatamente sono i grappoli giunti a maturazione, nascosti tra le foglie, che non dovranno più tanto attendere di essere raccolti e vinificati. Si tratta di una vista che sempre suscita moti nell’animo, che da secoli si rinnova e si ripropone agli occhi delle diverse generazioni con un’attrazione quasi sacra, rafforzando il legame di appartenenza ad una terra amata in cui affondano le nostre radici.
Certo, molto è cambiato nel corso degli anni riguardo alla coltivazione della vite, alla scelta dei terreni più idonei, alle tecniche impiegate, anche in conseguenza dei fisiologici mutamenti sociali, economici, culturali avvenuti nel tempo, ma ciò che rimane invariato è quel sentire in profondità il bello che scaturisce dalla generosità della natura insieme alle costanti, faticose e amorevoli cure dell’uomo.
Un sentire quasi empatico suscitato da un richiamo persistente di questa terra che è "parte costitutiva della nostra identità, sia fisica, sia psicologica". Nel suo interessante saggio "La religiosità della terra" di Duccio Demetrio (Raffaele Cortina ed.) sottolinea in più passi questo aspetto: incontrare e accogliere la terra, la natura, le piante, i paesaggi con un sentimento benevolo, solidale, accorato è un’esperienza relazionale e affettiva che, pur stando a distanza, ci rende più prossimi all’essenza vitale di questo bene prezioso da cui traiamo sostentamento, ma anche al suo e al nostro mistero.
Fortemente sentito è il messaggio che l’autore consegna alla sua scrittura: “l’urgenza di un’attenzione più consapevole e vigile alla nostra terra, spesso sottoposta al rischio di aggressioni o devastazioni da parte di chi, avendo potere decisionale, agisce guidato esclusivamente da logiche di profitto.”
Il saggista, dunque, ci richiama ad una diversa sensibilità, ad un amore sincero per la terra, un amore che deve essere ricondotto a motivazioni più profonde di quelle solitamente addotte dalle politiche ambientaliste, dagli ecologisti…
Facendo anche nostro il suo appello accorato, proviamo ancora a volgere lo sguardo sui campi coltivati che in questo periodo dell’anno danno il loro prezioso frutto, lasciandoci sorprendere dai suggestivi mutamenti di colori e di forme e di intensi profumi.
I campi si trasformano lentamente seguendo i ritmi consueti delle stagioni che evocano per somiglianza quelli della vita umana. Ed ecco che disponendoci ad osservare gli immancabili segni di congedo dell’estate e l’evidente avanzare dell’autunno, con la sua luce particolare spennellata sulla vegetazione, prendiamo coscienza di quanti spunti meditativi ci offre la terra, di quante domande e desideri può riaccendere.
La vitalità delle piante che si arresta al compimento di un ciclo ci riavvicina puntualmente alla verità della nostra condizione umana facendoci percepire più intensamente il senso della fine. Ma non possiamo che essere grati all’aspetto sofferto che assume la terra coltivata quando l’incanto abbagliante dell’estate l’abbandona e, perdendo vigore, comincia a svelare la malinconica nudità dei tralci.
È di fronte a questo suo volto più scabro e dimesso che il nostro sguardo empatico si va affinando fino ad avvertire più acutamente il dolore, la fatica, il senso di fragilità che accomuna gli esseri viventi. E nel riconoscere, tuttavia, tratti di bellezza anche nei vigneti in dissolvenza, nei campi attraversati da calde e variegate tonalità autunnali, si potranno inaspettatamente cogliere presagi di primavera fino ad avvertire di riflesso una nostra disposizione interiore al rinnovamento.
Come scrive sempre Duccio Demetrio in un altro suo libro raffinato e profondo, “Foliage-Vagabondare in autunno” (Raffaele Cortina ed.), è con l’autunno, con le sue tinte tenui, che possiamo comprendere meglio il segreto della vita, la ricchezza dell’esistenza, ma bisogna andargli incontro con “animo primaverile”, con un rinnovato sentimento di attesa.
Così, con lo spirito nutrito dalle intense meditazioni di uno scrittore amato che ha saputo sapientemente intessere un vero e proprio elogio dell’autunno, posiamo un ultimo sguardo alla nostra terra salentina con una vicinanza emotiva che ci permette di percepirne l’umore e forse anche un suo “stato di grazia”, in questo tempo dell’anno che più di altri allude al carattere transitorio e trasformativo della vita.
Mariella Spagnolo