È il secondo postulato di Euclide, una legge della geometria euclidea, che precede il terzo postulato, secondo il quale per tre punti, non allineati, non passa invece alcuna retta. Ma cosa c’entra una legge matematica con la psicologia, o comunque con i comportamenti umani? In realtà, non è certamente un caso se, soprattutto nell’antichità, dagli antichi egizi ai greci, le figure del matematico e del filosofo fossero spesso sovrapposte.
Si pensi per esempio a Pitagora, l’autore (o scopritore) del famoso teorema del triangolo rettangolo, fondatore nel sesto secolo avanti Cristo di una delle prime scuole, e padre della metempsicosi, la teoria secondo la quale l’anima viaggia da un corpo all’altro, poiché si tratta di un’entità spirituale che non è individuale né specificatamente umana. O allo stesso Euclide, già citato, allievo di Platone, che praticamente inventò la teoria dei teoremi e degli assiomi, ovvero delle verità inconfutabili, non dimostrabili, dalle quali discendono le leggi della matematica e, di conseguenza, del mondo.
Perché, in realtà, tutto il mondo è matematica, anche se quest’ultima è, di fatto, la materia scolastica che più problemi ha creato e continua a creare negli studenti di tutte le età e di tutte le epoche. Ma cosa c’entra il secondo postulato di Euclide, da cui siamo partiti, in questa piccola disquisizione? C’entra nella misura in cui paragoniamo i due punti fermi a due persone, e l’unica retta che li unisce come la relazione che tra essi intercorre. Se qualcuno afferma che, in natura, la monogamia non esista, e che si tratti solo di una convenzione sociale introdotta dagli esseri umani in epoche più o meno oscure, è anche vero che le cosiddette “relazioni aperte” risultano essere, quanto meno, problematiche.
Si legge spesso, in alcuni stati sentimentali del famoso, o famigerato, social network “blu”: “in una relazione complicata”. Ma cosa vuol dire? Che forse esistono relazioni semplici e lineari, dove non ci sono mai conflitti, discussioni, punti di vista a volte differenti? Una volta si diceva che “l’amore non è bello se non è litigarello”, che potrebbe sembrare una boutade, una frase divertente tesa a nascondere o coprire le inevitabili piccole o grandi incomprensioni che si possono venire a creare in una qualsiasi relazione di coppia. Oppure, semplicemente, a giustificare il fatto che poi, alla fine, si faccia pace nella maniera che si ritiene opportuna. In realtà, i “conflitti” tra due persone, in una coppia, sono il segno che tra i due non c’è il “dominante” e il “dominato”, ovvero che la relazione, dal punto di vista psicologico, può definirsi “sana”. Al contrario, infatti, si parla spesso di “narcisismo patologico”, quella caratteristica che spesso viene attribuita a chi, innamorato di se stesso, tende a sottomettere gli altri, cercando di manipolarne non solo i comportamenti ma, soprattutto la mente. E si parla, di conseguenza, di “relazioni tossiche”, nelle quali uno dei due soggetti soccombe alla volontà dell’altro.
Mettendo tuttavia da parte questo aspetto, e tornando ai conflitti, tenendo conto del fatto che in una relazione “sana” essi sono inevitabili, è importante fare in modo che diventino costruttivi, e non distruttivi. Una delle prime regole di cui va tenuto conto, e il pensiero degli psicologi, sotto questo aspetto, è pressoché unanime, è che la litigata, quando nasce, deve rimanere sull’oggetto della stessa e non deve minacciare la relazione tra le persone.
Questo vale non soltanto nei rapporti sentimentali, ma dovrebbe valere sempre, anche nel caso in cui tra i due interlocutori non esista un legame di tipo affettivo o amoroso. Spesso viene usata per la litigata la metafora della bomba: c’è una miccia che viene accesa prima che il conflitto si scateni e che, bruciando, porta in seguito all’esplosione. Il trucco consiste, e se ne parla per esempio nel famoso film “Perfetti sconosciuti”, nel provare a “disinnescare” il conflitto prima che, esplodendo, rischi di diventare distruttivo. Il periodo storico che stiamo vivendo ci costringe ad avere un’altissima esposizione rispetto alle persone che abbiamo accanto. L’equilibrio che prima esisteva nella società è completamento mutato: siamo più stanchi e molto meno tolleranti verso le faccende pratiche e nei confronti delle richieste delle persone che abbiamo accanto.
Le nostre relazioni intime rischiano così di diventare una sorta di valvola di sfogo, tramite le quali scaricare le nostre paure, le ansie e la rabbia. Disinnescare, tuttavia, non vuol dire evitare le discussioni e le litigate, ma riuscire a mantenerle in maniera costruttiva. Per quanto possibile, anche se può sembrare difficile, è necessario utilizzare una comunicazione che sia assertiva, spiegando le nostre emozioni, e cercando di comprendere le emozioni che crediamo stia provando l’altro. È importante, inoltre, evitare di usare delle informazioni che conosciamo sulla storia personale dell’altra persona per ferirla nel profondo, e cercare di ascoltare cosa dice, “accogliendola”, nonostante il momento di conflitto. È altrettanto importante individuare il prima possibile i punti di accordo, senza snaturare i propri, con la capacità di costruire insieme una nuova prospettiva. E, non ultimo, saper ammettere, nel momento in cui ce ne rendiamo conto, di avere, anche se in parte, torto. Abbiamo il coraggio di dire: «Ho sbagliato».
Per concludere, per fare pace non è sufficiente dirlo, ma, per esempio, può anche significare abbracciarsi: il comportamento fisico sarà un alleato delle nostre parole. Perché poi, alla fine, tra quei due punti fermi, continui a passare quell’unica e sola retta possibile.
Matteo Gentile