Eccoci nei primi giorni del secondo mese dell’anno al “febbraio febbraietto mese corto e maledetto” come recitava una filastrocca giunta da lontane reminiscenze scolastiche che, indubbiamente, traeva origine dal mondo contadino che ben conosceva quanto accadeva alla propria vita allacciata ai ritmi della natura, ma senza porsi troppe domande. Era così e tanto bastava.
E da qui miti e leggende e i cosiddetti cunti e filastrocche a fiotti tramandati da generazione in generazione senza chiedersi da dove giungessero. Ma che oggi è bene tenersele strette quelle tradizioni conferendone il senso giusto per apprezzare e valorizzare il passato affinché “il nostro domani possa essere migliore di ieri”.
E da qui l’associazione al carnevale è naturale: febbraio non solo maledetto, perché molto freddo, ma portatore di allegria e di feste mascherate, una tradizione che ha resistito nel tempo, le cui antichissime origini risalgono all’età pre-cristiana e quindi pagana. Divenuta, successivamente, una ricorrenza nei paesi cattolici che non prevedeva una data variabile in quanto collegata alla Pasqua.
L’etimologia pare derivi dal latino “carnem levare” -togliere la carne- a significare l’usanza nel Martedì Grasso di banchettare e di finire “la carne in dispensa” visto che nel periodo di Quaresima non poteva essere mangiata. Altre ipotesi che la parola “carnevale” derivi da “carnualia” -giochi di campagna- o a “carrus navalis” -nave su ruote- che dà l’idea dei carri mascherati.
In realtà, mascherarsi nei giorni carnevaleschi era vissuto come occasione di coesione sociale dove dietro quelle maschere tutti erano uguali. In quei momenti si era veramente liberi, certamente senza troppa consapevolezza e forse per questo erano giorni ancor più vissuti in completa festosità da grandi e piccini… e che ai giorni nostri nessuno può impedirci “di vivere”. Sì, perché gioire e ridere nella maggior parte dei casi molto dipendono da noi a differenza del pianto.
Ma da dove spunta il pianto? In realtà, ed è innegabile, riso e pianto sono strettamente legati, sono le due facce della stessa medaglia appartenenti all’umana esistenza.E come sempre l’Arte si fa avanti proponendosi con l’opera del pittore fiammingo Peter Paul Rubens, “Democrito ed Eraclito”, risalente agli inizi del XVII secolo, e, senza addentrarsi in discorsi artistico-filosofici, perché non erano queste le mie intenzioni aprendo questa pagina, e comunque senza ignorare, che “l’Arte non vive per l’Arte, ma è al servizio dell’umanità”, rimaniamo ai margini di una quotidianità consapevole e propositiva, legata al nostro viaggio di “Venti di Ponente”.
Frattanto, dell’opera seicentesca vi descrivo solo il messaggio che costituisce un dato di fatto dei due filosofi dell’antica Greci. L’opera rappresenta “il mondo” tra due uomini di carattere completamente opposto: Eraclito che piange e Democrito che ride. Il primo, è rappresentato con due grandi mani giunte quasi a chiedere grazia per le nefandezze umane, appare sulla tela a destra, ma sulla scena è in realtà a sinistra, dal latino sinister, portatore di cattivi presagi. Il secondo è raffigurato con il volto chino e sorridente con la mano destra poggiata sulla cima del globo. La sinistra, con l’indice rivolto al suo lacrimevole compagno in segno di ammonimento. Perché Democrito si accontenta del mondo così com’è, preferisce ridere delle colpe della società piuttosto che piangere.
E adesso giungo al dunque e approfitto, soprattutto per onorare febbraio che ci porta un po’ d’allegria, per spendere qualche breve pensiero sul riso che potrebbe essere il tema del mese, che di questi tempi non guasta. In realtà la parola è un “omografo”, ossia fa parte di quelle parole che sono uguali come scrittura e anche pronuncia: da un lato, sta a indicare l’alimento, dal latino oryzum, dall’altro, dal latino risus, il gesto del ridere. Il tema è intrigante, considerato dal filologo Cesare Segre “un affratellamento di fronte al reale, luogo di stupore, colpo d’ala di farfalla”.
Ma volgendo lo sguardo al passato riflettiamo sul riso quando era aborrito, a “ il riso abbonda sulla bocca degli schiocchi”, e toccando la tradizione cristiana, nell’autunno del Medioevo, quando era represso e soffocato tra rigide regole monastiche e condanne ecclesiastiche. A quando, con un volo pindarico, e si sa i tempi cambiano… il riso ha voltato pagina: una prima volta con Freud e Bergson e una seconda volta negli anni ‘90 del secolo scorso quando si è affacciata la clown terapy, il sorriso come terapia, passando così a “gente allegra il cuor l’aiuta” e “il riso fa buon sangue”.
Comunque, il risu resta fragile e ingannevole, rimane un’azione misteriosa sia quando la si considera forza creatrice come in letteratura, nel teatro in musica o nel cinema, sia quando fa parte integrante di un sistema esistenziale di relazioni sociali che secondo Bergson, “ha bisogno di un’eco, non può rimanere da solo”. E sta di fatto che ridere fa bene e che spensieratezza e gioia alleggeriscono la vita. E la Redazione del Nostro giornale vi assicuro, è su quest’onda, perché di questo tutti ne sono convinti e credo che lo siano anche i nostri affezionati lettori.
E allora sorridiamo e sorridiamoci più spesso, e frattanto, vi lascio con qualche “battuta di spirito”, perché ridere o sorridere fa salute. Per piangere c’è sempre tempo!
- “La serietà mi è parsa sempre una cosa ridicola!” (Luigi Pirandello)
- “Giovanotto, le sue intenzioni con mia figlia sono oneste o disoneste?” -“Vuol dirmi che ho una scelta?” (Sigmund Freud)
-Il professore Albert Einstein espose una variante della teoria della relatività, tuttora poco conosciuta. Egli sosteneva: “Se le mie teorie saranno esatte, i tedeschi diranno che sono cittadino del mondo. Se le mie teorie si riveleranno errate, i francesi diranno che sono tedesco, ma i tedeschi diranno che sono ebreo”