È autoironico che io scriva sul fischio, quando è da anni che ci provo inutilmente. Nonostante tutti i miei sforzi, lui proprio non ne vuole sapere! Siamo come le rette parallele, che non si incontrano mai. Ma non per questo mi arrenderò: ride bene chi ride ultimo!
E veniamo a noi, all’ormai dimenticato fischio. Un tempo si riteneva che la voce umana, intesa come canto, fosse lo “strumento” di Dio; pertanto, si avvicinava a Dio qualsiasi strumento musicale in grado di imitarla. Ma il canto è l’unico timbro eseguibile dalla voce umana? Cercando nel cassetto più nascosto della teca sonora troviamo questo alquanto “singolare strumento”, che «certamente avremo sentito mille volte ma probabilmente mai ascoltato», come direbbe il prof. Keating, docente-protagonista de L’attimo fuggente di Robert Weir.
«Fischiare è musica ora?» ci chiederemo in tanti. Ma è davvero uno strumento musicale? Le risposte le possiamo trovare avventurandoci nella storia di questo sibilo magico. Il fischio ha un trascorso davvero burrascoso. Fin da tempi antichi costituisce una “lingua”, un sistema codificato e complesso di suoni. Già il titolo dell’articolo “Il fischio, da lingua sublime a insulto volgare”, redatto da Marino Niola e pubblicato su «Repubblica» il 7 aprile scorso, è esplicativo sui possibili utilizzi e significati. Lo si può usare per esprimere ammirazione, comunicare o segnalare qualcosa.
Ma, per quanto possa essere un linguaggio, il fischio non è mai stato ritenuto propriamente uno strumento musicale; nella musica cinquecentesca, per esempio, si nominava il “bel canto”, non pare però sia mai stato menzionato il bel fischio. Fischiare, inoltre, era un atto riservato esclusivamente agli uomini. In passato le donne che fischiavano erano malviste dalla società; nel Medioevo venivano addirittura etichettate come streghe. «Il fischio maschio senza rischio!» esclamerebbe probabilmente Mandrake, l’incallito giocatore interpretato da Gigi Proietti in Febbre da cavallo di Steno.
Assente nella musica classica, lo si incontra sicuramente come timbro sonoro tra le fila orchestrali nel repertorio contemporaneo, in particolare in quello cinematografico. Comprare nel film di animazione Robin Hood della Disney, il cui tema principale è fischiettato dal Cantagallo. E chi può dimenticarsi di Alessandro Alessandroni, il fischiatore western, per eccellenza, scelto da Ennio Morricone per interpretare le colonne sonore dei propri film?
È solo recentemente però che questo sibilo magico va riscattandosi. La fotografa professionista e fischiatrice per diletto Elena Somarè ha trasformato una semplice passione in un’attività concertistica vera e propria. Nel 2019 il Conservatorio Cherubini di Firenze innova il Corso didattico triennale con un laboratorio sperimentale di “Fischio con le labbra”.
D’altra parte, fischiare non è forse un’arte naturale, assieme alla danza, alla body percussion e al vocalizzo? Non è forse il fischio il progenitore del canto? Non è forse un’onda che si propaga nello spazio-tempo? Fischiare è uno strumento primordiale, ancestrale, non necessita di ulteriori accessori, come archetti o bacchette. Differentemente dal canto, è pertinente alla sola percezione sensibile e non all’interpretazione intelligibile; non essendo costituito da parole di senso compiuto, non deve essere compreso.
Ora è il musicista che si appropria del soffio dell’anima! In fondo, cos’è la Musica, se non un insieme di vibrazioni nell’aria che parlano all’animo umano? Lo sono i “martelli” di Pitagora, i “colpi di cannone” di Čajkovskij. È Musica il “silenzio” di John Cage. Parafrasando una seconda volta il prof. Keating, «non inventiamo suoni nuovi perché è carino; scopriamo e inventiamo suoni nuovi perché siamo membri della razza umana, e l’Uomo è pieno di passione». Ogni suono, qualunque esso sia, non è che un tratto di colore o una pennellata nel grande dipinto della Musica. E i suoni, così come i colori, le forme o le parole, sono la ricchezza vera dell’Uomo.