Settembre e lo spleen: dalla malinconia alle emozioni della creatività - di Matteo Gentile

Settembre e lo spleen: dalla malinconia alle emozioni della creatività - di Matteo Gentile
      Quanti di noi, la mattina del 1° settembre, avranno riascoltato “September morn”, il grande successo di Neil Diamond che dà il titolo anche a uno degli album più venduti e ascoltati del celebre cantautore e compositore statunitense. Un brano che in realtà è dedicato a lla persona amata, con una melodia struggente e un testo malinconico che rievocano un grande amore che si sta spegnendo. E’ quasi una dedica all’estate che scivola via con i suoi ultimi sprazzi di sole e con la nostalgia verso i bei momenti passati che stanno adesso per essere fagocitati dalla routine quotidiana dell’autunno.
       Eppure, la malinconia non è un sentimento di tristezza, ed è ben diverso dalla nostalgia. Non abbiamo competenze per dare una spiegazione scientifica a questo sentimento che, tuttavia, può essere visto anche come fonte di nuove emozioni da rivivere e come uno stimolo verso una nuova creatività. Ci viene invece in mente il poeta decadentista Charles Baudelaire che, più o meno a metà dell’800, in riferimento alla malinconia, riprendeva dal romanticismo, non ancora spentosi come movimento culturale e letterario, il termine “Spleen”, usandolo come titolo per una poesia contenuta nel suo capolavoro “Les fleurs du mal” (I fiori del mare): “Quando il cielo basso e oppressivo pesa come un coperchio // sull’anima che geme in preda a lunghi affanni […] a un tratto delle campane sbattono con furia // e lanciano verso il cielo un urlo orrendo […]”.
      Lo Spleen, per il poeta che fu anche uno degli artisti “maledetti”, diventa creatività, e si realizza quando la malinconia si traduce in una fertile produzione artistica che dà sbocco alla sofferenza trasformandola in creatività. Ma soltanto se non viene scacciata subito, la malinconia può liberare questa energia ispiratrice. Uno spleen che all’inizio di settembre ci porta a guardare dentro noi stessi, a ri-scoprire emozioni e desideri apparentemente soffocati dal caldo dell’estate e dai suoi ritmi frenetici, quando abbiamo cercato, quasi a ogni costo, di rompere la routine per godere appieno la stagione del “tutto e adesso”. Un’estate, tra l’altro, caratterizzata da un quasi ritorno alla normalità, dopo un periodo buio, anche se i venti di guerra e le notizie economiche non lasciano intravedere un futuro facile.       
       Anche Lucio Battisti, nel testo della canzone “Emozioni” scritta per lui da Mogol, cantava “E sdraiarsi felice sopra l’erba ad ascoltare // Un sottile dispiacere […] Domandarsi perché quando cade la tristezza // In fondo al cuore // Come la neve non fa rumore”. Quando le cose sembrano andare bene e le nostre giornate procedono con quella regolarità che dona sicurezza e spensieratezza, all’improvviso, come in questo primo giorno di settembre, senza necessariamente una ragione precisa, qualcosa cambia. Tanto che, magari guardando da una finestra, ci rendiamo conto che non stiamo guardando veramente.
         Ma quando questo spleen sembra prenderci per tirarci verso il fondo, possiamo guardarci ancora intorno e scoprire quanto sia bello settembre. Il clima cambia, però si adatta maggiormente a fare delle passeggiate, a riscoprire il piacere della natura che ci racconta storie soltanto se siamo disposti ad ascoltarle. Anche i colori cambiano lentamente, e da quelli accesi e vividi dell’estate piena si passa a quelli più tenui e morbidi dell’autunno. Se guardiamo, per esempio, un paesaggio autunnale di Van Gogh e ci lasciamo prendere da una grande varietà di colori e dalle emozioni che l’espressionismo ha saputo catturare e “rimbalzare” verso l’osservatore, riusciamo ad accogliere e valorizzare la musica dell’anima, anche quando le sue note sembrano fare male al nostro cuore. In tal caso il premio che riusciremo a dare a noi stessi sarà davvero grande, perché dalla malinconia di un mondo che è stato passeremo alla speranza di un mondo che sarà, a partire da questo preciso istante. Come conclude Battisti, “tu chiamale se vuoi, emozioni”.
 
Matteo Gentile

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